News sentenze Cassazione aprile 2015
Non paga la fattura e il creditore lo mette su Youtube nella rubrica “Facce da schiaffi”. Per la Cassazione è diffamazione
La Corte di Cassazione con sentenza n. 12695/2015 ha chiarito che commette il reato di diffamazione il soggetto (creditore) che pubblica un video nella rubrica dal titolo “Facce da schiaffi” nel sito internet Youtube rivelando il nome e cognome del proprio debitore, con commenti poco oxfordiani nei confronti della madre dello stesso.
A nulla sono servite le contestazioni dell’imputato che ha asserito di non aver pubblicato alcunchè e le eccezioni sollevate in merito alla tardività della querela poiché esposta otto mesi dopo la pubblicazione del video incriminante.
In ordine alla riconducibilità all’imputato della bravata online, gli Ermellini hanno accertato la “piena corrispondenza tra la descrizione data di sé nell’account” all’atto della registrazione al sito e lo stesso imputato. Quanto, invece, alla tardività della querela, i Giudici hanno specificato che la decadenza del diritto alla proposizione della stessa, che opera decorsi tre mesi dalla scoperta del fatto illecito, va accertata secondo “criteri rigorosi” e non sulla base di semplici presunzioni o mere supposizioni; inoltre, conclude la Corte, l’onere della prova grava su chi allega l’inutile decorso del termine ed il predetto onere non è stato adempiuto.
Cassazione: Commette reato il gestore del pub che non caccia i clienti rumorosi
Da una recente sentenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 12967/2015) è emerso che se i clienti che frequentano un pub non conoscono le regole della buona educazione e sono particolarmente rumorosi, il gestore ha il potere ma anche il dovere di cacciarli se gli schiamazzi arrecano disturbo alla quiete del riposo dei vicini. Se non lo fa rischia infatti una condanna penale.
Ciò è quanto ha confermato la Suprema Corte nella sentenza di cui ante con la quale ha dichiarato colpevole la proprietaria di un pub del reato previsto e punito dall’articolo 659 primo comma del codice penale, condannandola, anche, al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite nel procedimento penale.
Secondo la Cassazione chi gestisce un esercizio commerciale risponde del reato di cui all’imputazione anche per gli schiamazzi di chi frequenta il locale. Questo perché è proprio la qualità di titolare della gestione comporta l’assunzione dell’obbligo giuridico di controllare che la frequentazione del locale da parte dei clienti non sfoci in condotte contrastanti con le norme concernenti la polizia di sicurezza.
Cassazione: è valida la multa per divieto di sosta se la segnaletica è stata apposta dopo che l’automobilista ha già parcheggiato?
Secondo la Corte di Cassazione civile (cfr. sentenza n. 5663 del 2015) è possibile sanzionare l’automobilista che parcheggia la propria auto lungo un tratto di strada che, solo dopo diversi giorni dal predetto posteggio, viene interessato da lavori di manutenzione.
A nulla è valsa la contestazione dell’automobilista che impugnava la sanzione amministrativa eccependo che la sua auto si trovava lì già prima dell’istallazione della segnaletica di divieto e che non era stato messo nelle condizioni di conoscere la circostanza.
Secondo la Suprema Corte però è desumibile la colpevolezza del contravventore per essersi disinteressato della persistente utilizzabilità della strada ai fini della sosta dell’auto.
Inoltre, prosegue la Corte: “costituisce termine di legge quello di 48 ore tra l’installazione della segnaletica del divieto in questione e l’entrata in vigore dello stesso sicchè, ai fini della configurabilità della contravvenzione, non è consentita una valutazione soggettiva del giudicante sulla sufficienza o meno di detto termine”. Da tale affermazioni è possibile ritenere che non esista quindi alcun margine di discrezionalità per il Giudice, che deve limitarsi ad applicare la lettera della legge.
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