Disdetta e rinnovazione tacita: analisi di casi particolari

L’articolo 4 della legge 3 maggio 1982 n. 203 dispone che “in mancanza di disdetta di una delle parti, il contratto di affitto si intende tacitamente rinnovato per il periodo minimo, rispettivamente, di quindici anni per l’affitto ordinario e di sei anni per l’affitto particellare, e così di seguito. La disdetta deve essere comunicata almeno un anno prima della scadenza del contratto, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento”.

La norma sembra chiarissima nel precisare che la disdetta deve essere inviata con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno che la stessa deve pervenire all’affittuario almeno un anno prima della scadenza. Tuttavia, spesso, si è in presenza di contratti che prevedono clausole in cui è detto: “la durata del contratto è di anni …. ed andrà a scadere il 10 novembre dell’anno …, tale data è improrogabile ed essenziale per cui il conduttore assume solenne impegno di rilasciare il terreno libero e sgombro da persone e cose“.

Nel caso specifico i giudici, interessati della questione, hanno letto il predetto passaggio del contratto tanto sulla base del suo tenore letterale, che della sua connessione con altre clausole dello stesso contratto, non ultimo, l’intervento dell’associazione di categoria, che, ancora, in base all’esigenza di interpretare i contratti secondo il principio della buona fede.

A corollario di quanto sopra i giudici hanno concluso che le parti con la suddetta clausola “esclusero la necessità della disdetta e quindi l’applicabilità dell’articolo 4 della legge n. 203 del 1982 nel caso concreto“.

Molto importante appare il riferimento all’intervento dell’associazione di categoria che secondo i giudici ha la funzione di mettere sull’avviso le parti su quanto espressamente derogato nel contratto e quindi su quanto risulti difforme della previsione legale.

Peraltro, occorre rilevare come in casi simili, si ricorra sempre alla statuizione dell’articolo 45 della legge 3 maggio 1982 n. 203 il quale stabilisce che: “sono validi tra le parti, anche in deroga alle norme vigenti in materia di contratti agrari, gli accordi, anche non aventi natura transattiva, stipulati fra le parti con l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali agricole“.

È palese, dunque, che gli accordi in questione in tanto sono “validi” in quanto gli accordi stessi siano stati conclusi con l’assistenza delle dette organizzazioni professionali, senza che si richieda, altresì, che nel contratto sia sottolineata o in qualche modo evidenziata la “difformità” della singola clausola, rispetto al modello legale o, meglio, la “deroga” di una particolare clausola ad un puntuale precetto legislativo.

Alla luce di quanto brevemente esposto è evidente che è irrilevante che il contratto non abbia sottolineato espressamente che in realtà con la clausola in questione si derogava al precetto contenuto nell’articolo 4 della legge 3 maggio 1982 n. 203.

In altri termini, ove un contratto sia stato concluso con l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali ai sensi della ricordata disposizione lo stesso è valido anche quanto alle “clausole” in deroga alla disciplina legale, senza alcuna necessità di precisare, accanto ad ogni clausola, se la stessa sia o meno conforme alla previsione legislativa.

Altra disposizione, che potrebbe rilevare in casi particolari come quello sopra citato, è quella prevista dall’articolo 1362 s.s. c.c.

In base alla predetta norma occorre far riferimento alla “comune intenzione delle parti”, così come emerge dal loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto, al fine di accertare se i contraenti intendessero derogare all’obbligo della disdetta previsto dall’articolo 4 della legge 3 maggio 1982 n. 203.

Secondo i giudici l’equo contemperamento degli interessi delle parti, data anche la particolare natura e il formalismo richiesto dalla legge agraria, impone una chiara formulazione della deroga alla disciplina legale.

Nel caso trattato i giudici ha chiarito che la clausola contrattuale, di cui sopra, quanto alla scadenza del contratto ed all’obbligo del conduttore di restituire il fondo inderogabilmente alla data pattuita, ha un significato letterale inequivoco è palese tanto che divengono irrilevanti i richiami ad altre circostanze.

Infine, un cenno merita anche la tesi secondo cui sarebbe nulla, per illiceità della relativa clausola, la disdetta contenuta nello stesso contratto di affitto.

Giusta la puntuale previsione di cui all’articolo 58, della legge 3 maggio 1982, n. 203: “tutte le norme previste dalla presente legge sono inderogabili. Le convenzioni in contrasto con esse sono nulle di pieno diritto e la loro nullità può essere rilevata anche d’ufficio, salvo il disposto dell’articolo 45 e 51”.

È evidente, pertanto, che le parti, con le forme previste dall’articolo 45 comma 1 della legge 3 maggio 1982 n. 203 (cioè tramite accordi stipulati con l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, e tramite le loro organizzazioni provinciali) possono derogare a qualsiasi disposizione contenuta nella legge n. 203 del 1982, fermi i limiti posti dal comma 2 dello stesso articolo 45.

Né ancora può assumersi che il divieto, per le parti, ove debitamente assistite, di introdurre deroghe alla previsione di cui all’articolo 4 deriva da non meglio precisati principi generali o dalla illiceità della clausola, infatti le parti di un contratto agrario, ove adeguatamente assistite, possono, nell’esercizio della loro sovrana autonomia, prevedere deroghe, salvi i limiti sopra indicati, a qualsiasi disposizione contenuta nella legge 3 maggio 1982 n. 203. Conclusione logica di quanto sopra enunciato è che deve escludersi che la clausola in questione possa definirsi nulla per illiceità, cioè per contrarietà a norme imperative.

 

Avvocato Chiara Roncarolo

Avvocato Maurizio Randazzo

Lascia un commento