Mezzadria

La mezzadria è un contratto c.d. “di associazione” mediante il quale un proprietario terriero concede in conduzione il proprio fondo, comprensivo di terreni e di fabbricati rurali, ad un coltivatore (c.d. mezzadro), con il quale spartisce – generalmente nella misura del 50% ciascuno – i prodotti e gli utili dell’azienda agricola medesima. Occorre precisare che il termine mezzadro nella maggior parte dei casi non ha un’accezione ristretta e limitata all’individuazione di un singolo soggetto, ma ha un significato più esteso, così da ricomprendere l’intera famiglia coltivatrice (c.d. famiglia colonica), la forza lavoro essenziale per il buon funzionamento dell’azienda.

Questa forma di realtà imprenditoriale che vide le sue origini nell’Era medievale come espressione del sistema feudale e che si diffuse ampiamente in buona parte dell’Europa. Tuttavia, nel predetto periodo, nella maggior parte delle occasioni, la ripartizione dei raccolti e degli utili veniva effettuata a maggior vantaggio della parte concedente e, pertanto, in percentuale ben diversa dalla parificazione. Col passare dei secoli tale tipologia di conduzione e gestione aziendale divenne sempre più distante dalle esigenze produttive più moderne e, pertanto, classificata come sempre meno redditizia e fortemente penalizzante per la famiglia colonica.

Al fine di porre rimedio a tale situazione e per incentivare una tipologia produttiva più efficiente e volta, altresì, al recupero di ampie zone non sufficientemente sfruttate, con legge 15 settembre 1964 n. 765, il Legislatore, con lungimiranza, nonostante il tempo occorso per addivenire a tale modifica legislativa, sancì il divieto di stipula di nuovi contratti di mezzadria. I contratti di mezzadria non corrispondevano più, già da tempo, alle esigenze dell’epoca.

Tale prima innovazione normativa, incipit di un progetto di riforma di ampie vedute, venne rafforzata e resa più efficace con l’introduzione della nota Legge Agraria (legge 3 maggio 1982 n. 203) con la quale venne disposta la conversione in contratto di affitto agrario di tutti i contratti agrari associativi che, alla data di entrata in vigore della legge, fossero ancora in corso di validità, e ciò su istanza del concessionario stesso che in tal modo, entro il 6 maggio 1986, avrebbe potuto sostituire con decisione unilaterale il vecchio contratto di mezzadria con uno d’affitto, ossia mediante la sola modifica del contratto in corso e senza la necessità di procedere alla stipula di uno nuovo.

Tuttavia, al fine di garantire il passaggio ad una concezione imprenditoriale agricola basata su più moderne e redditizie forme di conduzione, il legislatore previde che nel caso in cui non fosse stato possibile precedere alla conversione o la stessa non fosse stata richiesta entro il predetto termine, i contratti di mezzadria ancora in essere avrebbero in ogni caso avuto termine al 10 novembre 1993.

In seguito al predetto cambiamento normativo non mancarono questioni di legittimità costituzionale sugli art. 25, 28 e 30 della Legge 3 maggio 1982, n. 203, posti in relazione agli art. 3, 4, 41, 42 e 43 della Costituzione: a) per la disparità di trattamento riservato al concedente ed al concessionario del godimento del fondo in ordine al modo di provocare la conversione del rapporto di mezzadria in affitto; b) perché, ai sensi dell’art. 41 cost. la libertà di iniziativa economica non può essere compressa fino al punto di essere annullata senza realizzare quella utilità sociale, in presenza della quale la suddetta libertà può essere sacrificata; c) perché il limite alla iniziativa privata finisce per incidere sul contenuto della proprietà privata in quanto il proprietario viene a trovarsi totalmente condizionato nei suoi poteri di godimento, sì da perdere ogni incentivo ad investimenti produttivi; d) per violazione degli art. 4 e 43 cost., in quanto il proprietario con l’avvenuta conversione si vede privato senza alcun indennizzo del suo diritto all’impresa; e) per violazione ancora dell’art. 3 cost., in quanto vengono colpiti i concedenti delle mezzadrie maggiormente produttive, mentre rimangono in vita le mezzadrie economicamente più deboli” (App. Bologna, 21 maggio 1983).

Fu la stessa Corte Costituzionale a comporre definitivamente ogni questione sul punto, confermando così la bontà e la lungimiranza del cambio di vedute del legislatore, sancendo che le questioni di costituzionalità sollevate erano – e sono – infondate con riferimento ai citati articoli 3, 4, 41, 42 e 44 Cost., in quanto gli articoli 25, 26, 28 e 30 della Lege Agraria “prevedono la conversione c.d. “automatica” della mezzadria in affitto (attuabile cioè attraverso il solo esercizio del diritto del mezzadro), che si ipotizza lesiva dei diritti del concedente a non essere trattato in maniera deteriore rispetto alla controparte negoziale, del suo diritto al lavoro, nonché dei suoi diritti di iniziativa economica e di proprietà” (Corte cost. Ord., 27-06-1986, n. 163).

Nella medesima sentenza, unica eccezione fu rappresentata dalla declaratoria di incostituzionalità degli articoli 30 (in toto) e 25 (parte) della L. 203/82, sempre escludendo però che l’istituto della conversione violasse, di per sé, alcuno dei parametri costituzionali richiamati.

Avvocato Chiara Roncarolo

Avvocato Maurizio Randazzo

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