News sentenze Cassazione luglio 2015

Arriva il risarcimento danni per ‘ansia da lavavetri’. Ed è il Comune a doverli pagare
Con la sentenza n. 13568/2015 la Corte di Cassazione ha affermato che il disagio che può derivare agli automobilisti dalla presenza dei lavavetri ai semafori potrebbe originare l’inserimento, all’interno del nostro ordinamento, di una nuova declinazione di danno esistenziale, quella generata dall’”ansia da lavavetri”.

In particolare, secondo i giudici della Suprema Corte, l’ansia e il disagio che possono derivare agli automobilisti dalla presenza dei lavavetri ai semafori potrebbero tradursi, per i Comuni, nell’adozione di provvedimenti contingibili e urgenti che tutelino l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana.
La Corte ha quindi precisato che l’eventuale danno subito da un ansioso automobilista, che aveva sollevato la questione, non deriverebbe dall’omessa custodia della strada da parte dell’ente proprietario, bensì dal mancato esercizio da parte del Comune di poteri autoritativi.

Casa vacanze infestata da insetti e parassiti? Non basta per condannare il proprietario
La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 22384/2015, ha stabilito che il trovare la casa affittata per le vacanze infestata di acari, pulci e parassiti non determina automaticamente l’applicazione di una sanzione penale nei confronti del proprietario della predetta abitazione e/o dell’agenzia immobiliare che ha organizzato il viaggio. E ciò, prosegue la Corte, anche se dalle punture dei predetti insetti dovessero derivare lesioni lievi ai malcapitati ospiti.

Gli Ermellini hanno infatti precisato che ai fini della condanna deve essere accertata la prevedibilità dell’evento verificatosi tenuto conto dello stato di degrado dell’immobile e della quantità di insetti ivi presenti nonché il comportamento tenuto dal proprietario e/o dell’agenzia immobiliare in termini di  adozione di ogni possibile misura idonea a tutelare i propri ospiti.

Dare dello “sbirro” non sempre è oltraggio a pubblico ufficiale
Da una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 25903/2015) si evince che, non sempre, dare dello “sbirro” a un pubblico ufficiale integra il reato di oltraggio.

Secondo gli Ermellini, infatti, ai fini della configurabilità del predetto reato, oltre al requisito della pubblicità, occorre che la frase offensiva assuma una valenza obiettivamente denigratoria del soggetto cui si riferisce. La suddetta affermazione, infatti, deve essere così offensiva da arrecare un danno a quella particolare forma di decoro e di rispetto connaturata nella figura del pubblico ufficiale e, inoltre, non deve costituire una manifestazione di mera critica nei confronti del soggetto cui è rivolta.

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