News Sentenze Cassazione Settembre 2017

La religione non giustifica il porto di coltello: i migranti devono conformarsi ai nostri valori

Per la Suprema Corte, il porto del coltello Kirpan non si giustifica per il credo religioso, come invece avrebbe preteso un cittadino indiano: è quanto ha decretato la sentenza n. 24084 del 15 maggio 2017.

Il caso riguardava un uomo che, senza giustificato motivo, ha portato fuori dalla propria abitazione un coltello lungo 18,5 centimetri, legato alla propria cintura e ritenuto idoneo all’offesa. Dinnanzi agli agenti della polizia locale intenti a sequestrarglielo aveva tuttavia opposto il rifiuto a consegnarlo in quanto, a suo dire, questo comportamento si conforma ai precetti della sua religione, essendo egli un Sikh.

La Corte ha avuto modo di osservare che, in una società multietnica, sicuramente l’integrazione tra popoli diversi non impone l’abbandono della propria religione, ma questo fatto trova un limite nel rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica del Paese ospitante. E’ essenziale per l’immigrato conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale dove ha scelto liberamente di inserirsi, verificando in anticipo la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che lo regolano.

Per il morso di un cane affidato a terzi, il padrone risponde per lesioni colpose

Il padrone di un cane è penalmente responsabile e risponde di lesioni colpose nel caso in cui l’animale, dopo essere stato affidato ad un’altra persona, abbia morsicato un soggetto terzo.

Così ha sancito la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 30548/2016, con la quale ha regolato il caso di un cane che, dopo essere stato affidato al padre del padrone effettivo, ha morsicato un bambino.

Per il Supremo Collegio sussiste una residua responsabilità del proprietario, nel caso in cui questi sia in grado di esercitare il controllo ovvero l’animale sia affidato a persona non in grado di esercitare una effettiva custodia.

Niente maltrattamenti in famiglia per litigi isolati: il reato ex art. 572 c.p. sussiste in caso di sistematica e abituale vessazione dei propri familiari

Va esclusa la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia laddove, anche a seguito della querela della persona offesa, non emergano elementi idonei a dimostrare l’illecito, in particolare l’abitualità e la sistematicità dei comportamenti vessatori che caratterizza la fattispecie penale. Gli atteggiamenti violenti che hanno caratterizzato i litigi intercorsi tra i coniugi possono eventualmente integrare altre fattispecie di reato, procedibili anche a querela.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 40936 del 2017, nella quale è stato precisato che il reato di maltrattamenti in famiglia è necessariamente abituale, ed è caratterizzato da una serie di atti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali, isolatamente considerati, potrebbero essere anche non punibili o non perseguibili (ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela).

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