Procedimento per decreto ingiuntivo e tentativo di conciliazione

In tema di recupero crediti derivanti da contratto agrario, nello specifico crediti derivanti dal mancato pagamento del canone di affittanza e degli oneri accessori, la Suprema Corte ha, recentemente, fatto chiarezza in merito all’obbligatorietà o meno dell’esperimento del preventivo tentativo di conciliazione, così come previsto dall’articolo 46 l. 203/82, successivamente modificato dall’articolo 11 d.lgs. 150/2011, necessario qualora il ricorrente intenda instaurare un procedimento per ingiunzione.

La Corte di legittimità è stata investita del riesame di una sentenza resa dalla corte territoriale, la quale ha statuito, in aderenza al principio a suo tempo espresso dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 276/2000, respingendo l’opposizione a decreto ingiuntivo promossa dal debitore, che “il tentativo obbligatorio di conciliazione è strutturalmente legato ad un processo fondato sul contraddittorio […] all’istituto sono quindi per definizione estranei i casi in cui invece il processo si debba svolgere in una prima fase necessariamente senza contraddittorio, come accade per il procedimento per decreto ingiuntivo”.

In primo e secondo grado veniva, di fatto, rilevata un’incompatibilità logica tra il preventivo esperimento del tentativo di conciliazione ed un procedimento sostanzialmente volto all’ottenimento di un titolo esecutivo per il recupero del credito vantato che è, quantomeno nella sua fase iniziale, svolto in assenza di contratraddittorio tra le parti, in quanto basata sul mero deposito di un ricorso per decreto ingiuntivo e sulla successiva emissione da parte del Giudice del decreto d’ingiunzione reso sulla base delle sole argomentazioni e della documentazione allegate dal creditore.

Solo in caso di opposizione, infatti, il procedimento verrà svolto in contradditorio tra le parti al fine di accertare la sussistenza e l’ammontare effettivi del credito.

In disaccordo con tale ricostruzione, con la sentenza n. 6839 del 20 marzo 2018, la Suprema Corte ha rilevato che nel caso concreto, poiché il credito deriva dall’inadempimento di un contratto agrario, la materia rimane disciplinata dall’articolo 11 d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150 secondo il quale, da un lato, le controversie in materia di contratti agrari o conseguenti alla conversione dei contratti associativi in affitto sono regolate dal diritto del lavoro, salvo quanto diversamente disposto dall’articolo medesimo, e, dall’altro, che chiunque voglia proporre in giudizio una domanda relativa alle materie appena riportate deve, preventivamente, darne comunicazione al settore agricoltura presso la regione di competenza, onde esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione.

È lo stesso legislatore, pertanto, a sancire che il tentativo obbligatorio di conciliazione deve sempre essere preventivo, ossia attivato prima dell’instaurazione di un qualsiasi procedimento, posto che la norma che lo dispone ha carattere inderogabile ed imperativo e svolge la precisa funzione di filtro all’instaurazione dei contenzioni giudiziari. La naturale conclusione è che non può essere sostenuta la proponibilità del tentativo in epoca successiva all’instaurazione del procedimento, ancorché si tratti di procedimenti sommari – in assenza di contraddittorio – come è quello d’ingiunzione.

Questa appare, in buona sostanza, la differenza con il rito del lavoro “puro e semplice”, sulla scorta del quale è stato modellato il procedimento agrario e che parimenti prevede l’esperimento obbligatorio del tentativo di conciliazione tra la parti. Tuttavia, il rito del lavoro non prevedere la sanzione dell’improponibilità della domanda ove il procedimento venga instaurato in assenza del preventivo esperimento del predetto tentativo. Il mancato esperimento preventivo, infatti, nel rito del lavoro si limita a configurare una condizione di improcedibilità sui generis idonea a determinare la sola sospensione temporanea del procedimento con provvedimento del Giudice e contestuale concessione di un termine perentorio entro il quale svolgere il tentativo previsto ex lege e solo a seguito del mancato esperimento entro il termine assegnato, il procedimento verrà dichiarato improcedibile.

La ratio della diversa rilevanza del preventivo esperimento in ambito agrario resta, invece, ancorata all’interesse alla salvaguardia e conservazione dei rapporti agrari esistenti. Una ratio che privilegia la composizione stragiudiziale delle controversie collegate all’utilizzazione dei fondi.

In conclusione, qualora nel procedimento monitorio venisse riconosciuto al creditore il diritto ad agire per il recupero senza preventivamente tentare una conciliazione con la controparte in sede protetta (ex articolo 46 l. 203/82 ed articolo 11, d.lgs. 150/2011), verrebbe meno l’intento sottostante la normativa di settore in caso di opposizione del debitore/coltivatore.

Il debitore opponente sarebbe nell’impossibilità di tutelarsi pienamente, posta l’incompatibilità dei termini previsti per l’instaurazione del contenzioso dopo aver esperito il tentativo di conciliazione agrario ed i tempi previsti per le azioni di recupero forzoso di cui all’articolo 641 e s.s. del c.p.c.

In ambito agrario, infatti, tenuto conto, da un alto, dell’assenza di una disposizione quale quella prevista per il rito del lavoro all’articolo 410 c.p.c. che al comma 2 testualmente statuisce: “La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza” e, dall’altro, dell’impossibilità di adire il giudice prima che siano trascorsi sessanta giorni dalla richiesta rivolta all’organo amministrativo della conciliazione agraria, l’opponente si troverebbe nell’impossibilità di rispettare il termine perentorio sancito dall’articolo 641 c.p.c., che prevede che l’opposizione sia proposta entro quaranta giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo.

Alla luce delle argomentazioni sopra esposte, pertanto, in materia agraria è stato confermato l’obbligo, in capo a chi intenda instaurare un procedimento monitorio a tutela di un diritto di credito nascente da un rapporto agrario, di provvedere all’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione in sede protetta così come previsto dalla normativa di settore e ciò a pena di improponibilità della domanda rilevabile d’ufficio dal giudice investito della causa (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 20 marzo 2018, n. 6839).

Avvocato Chiara Roncarolo

Avvocato Maurizio Randazzo

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