Cenni sulla prelazione agraria in generale: percorso legislativo e condizioni

La prelazione agraria trova la sua origine nell’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, il quale così dispone: “in caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi di fondi concessi in affitto a coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione, esclusa quella stagionale, l’affittuario, il mezzadro, il colono o il compartecipante, a parità di condizioni, ha diritto di prelazione purché coltivi il fondo stesso da almeno due anni, non abbia venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di superficie superiore ad un ettaro, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria, ed il fondo per il quale intende esercitare la prelazione in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia”.
Quindi, nella sua origine, unico scopo della prelazione agraria era quello di collegare la proprietà del fondo agricolo con il soggetto che con la sua opera determinava lo sfruttamento del suolo, senza peraltro privare il proprietario del suo diritto, ma soltanto condizionandone l’esercizio a vantaggio di una determinata categoria di soggetti, i quali, sfruttando la redditività della terra, beneficiavano di una sorta di rapporto privilegiato tra proprietà e soggetto lavoratore.
Si afferma infatti che scopo della prelazione sia quello di favorire, nel generale interesse dello sviluppo dell’agricoltura, la riunione nella stessa persona della qualità di proprietario del fondo e di lavoratore della terra
Nel 1971, con la legge 14 agosto 1971, n. 817, viene attuata anche la prelazione a favore del proprietario di terreno confinante, purché egli stesso coltivatore diretto del suo fondo contiguo. In tal caso la funzione della prelazione appare diversa rispetto a quella precedente, in quanto la prelazione del confinante mira all’accorpamento dei fondi agricoli al fine di migliorare la redditività dei terreni, cioè di formare imprese diretto-coltivatrici di più ampie dimensioni, più efficienti sotto il profilo tecnico ed economico.
In questo modo si parla di prelazione agraria comune per indicare la prelazione che incide sul fondo posto in vendita a favore di coltivatore diretto insediato sul fondo stesso; invece di prelazione del confinante per indicare la prelazione prevista a vantaggio di proprietario coltivatore diretto di fondo contiguo al terreno agricolo posto in vendita.

CONDIZIONI

Fondo agricolo
La legge parla di fondo, senza altra specificazione. Si deve trattare di un fondo agricolo, cioè di un terreno destinato all’agricoltura, il che esclude il bene qualificabile come edificio, salvo quanto si vedrà più avanti per la casa colonica o l’edificio rurale.
Nel silenzio della legge la giurisprudenza ha avuto modo di esaminare numerose fattispecie
pratiche, pervenendo alle seguenti conclusioni:
– Non ha alcun rilievo la dimensione del terreno;
– Non interessa il tipo di coltivazione;
– Non interessa che il fondo agricolo non sia attualmente coltivato, perché conta esclusivamente la sua suscettibilità ad essere anche in futuro coltivato;
– Anche i boschi sono suscettibili di prelazione agricola;
– L’esistenza di un caseggiato nel fondo non esclude la prelazione, se esso è strumentale alla coltivazione del terreno.
– L’eventuale destinazione agrituristica del fondo non fa venir meno il diritto di prelazione, perché non viene mutata la destinazione agricola del terreno;
– Non si reputano ostative alla prelazione agraria la destinazione paesistica o a verde pubblico attribuita al terreno.

Qualifica di coltivatore diretto

Elemento particolarmente importante da tenere in considerazione è quella della qualifica di coltivatore diretto in capo al soggetto preferito in tema di prelazione agraria.
In precedenza esisteva soltanto l’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, il quale al primo comma menzionava l’affittuario coltivatore diretto, il mezzadro, il colono parziario, il compartecipante; al terzo comma menzionava, nell’ipotesi di comunione, il componente della famiglia coltivatrice per la cessione di quota del fondo agricolo purché coltivatore manuale e continuatore dell’esercizio dell’impresa familiare in comune.
Successivamente l’art. 16 della legge 14 agosto 1971, n. 817 ha esteso la legittimazione all’esercizio della prelazione a favore delle cooperative agricole di coltivatori della terra, fermo restando che in tal caso imprenditore agricolo è l’ente cooperativa, non i singoli soci, che possono essere anche braccianti agricoli, cioè legati alla cooperativa da un rapporto distinto da quello che dà diritto alla prelazione.
Infine l’art. 48 della legge 3 maggio 1982, n. 203 sui patti agrari ha instaurato il rapporto agrario direttamente con la famiglia coltivatrice, ritenuta titolare dell’impresa familiare coltivatrice;
Anche dopo le predette norme, la veste di coltivatore diretto ha continuato a costituire l’elemento basilare per godere del diritto di esercizio della prelazione agraria.
L’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 ha ampliato le fattispecie di prelazione, prevedendole anche a favore del proprietario coltivatore diretto di fondo confinante con fondi offerti in vendita, purché sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti.
Il diritto di prelazione spetta al confinante, purché egli sia contemporaneamente proprietario e
coltivatore diretto ed a patto che sul fondo offerto in vendita non vi sia altro coltivatore diretto, nel quale caso la prelazione del confinante non sorge.
Il concetto di “coltivatore diretto” viene ricavato dalla norma contenuta nell’art. 31 della legge n. 590 del 1965, che così dispone: “ai fini della presente legge sono considerati coltivatori diretti coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed all’allevamento ed al governo del bestiame, sempreché la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo e per l’allevamento ed il governo del bestiame”.
Occorre tener presente che la dimostrazione della qualificazione di coltivatore diretto dovrà effettuarsi e valutarsi di volta in volta, tenendo evidentemente conto di tutta la documentazione che il soggetto che si qualifica come coltivatore diretto sia in grado di esibire.

Coltivazione biennale del fondo
Una delle condizioni perché il coltivatore insediato sul fondo possa esercitare la prelazione è che egli coltivi il fondo per un certo periodo di tempo: in precedenza la norma stabiliva quattro anni, invece a seguito della modifica introdotta dall’art. 7 della legge n. 817 del 1971, il quadriennio è divenuto un biennio; (si veda l’art. 8, primo comma della legge n. 590 del 1965): “in caso di trasferimento a titolo oneroso di fondi concessi in affitto a coltivatori diretti…l’affittuario…ha diritto di prelazione purché coltivi il fondo stesso da almeno due anni…”.
Scopo della norma è quello di garantire, prescrivendo un periodo determinato di permanenza sul fondo, un minimo di professionalità da parte del coltivatore, atto a giustificare il diritto di preferenza che gli viene concesso.
In proposito la giurisprudenza ha avuto occasione di effettuare i seguenti chiarimenti interpretativi:
– Il biennio va calcolato ad anno solare e non ad annata agraria e deve trattarsi di periodo interamente decorso;
– Non occorre che il titolo che attribuisce il diritto di coltivare il fondo sia unico per tutto il biennio, potendo accadere che per un periodo si tratti di contratto di affitto e per un altro periodo di compartecipazione o di coltivazione del fondo a titolo di proprietà;
– Occorre che la coltivazione sia basata su un titolo giuridico effettivo e pertanto non sarebbe sufficiente un contratto di comodato oppure un insediamento de facto sul fondo agricolo;
– Il periodo biennale va calcolato con riferimento al momento della stipulazione del contratto preliminare di vendita del fondo dal proprietario al terzo.

Mancata alienazione di fondi nel biennio
Un altro importante requisito per l’esercizio della prelazione è l’esigenza che il coltivatore “non abbia venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire
mille, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria” (ex art. 8, primo comma della legge n. 590 del 1965).
La giustificazione di questa preclusione è quella di valutare quel comportamento del coltivatore come comportamento speculativo e non come intento di coltivare la terra. Il legislatore ha ritenuto di non attribuire vantaggi ad un soggetto che nel breve periodo precedente abbia dimostrato di avere scarsa propensione per una utilizzazione reddituale del fondo caratterizzata dalla coltivazione personale.
Quanto al problema della cessione di fondo agricolo a scopo di ricomposizione fondiaria, è stato precisato che la fattispecie si verifica, sia nel caso di vendita a favore degli enti di sviluppo finanziati dalla Cassa per la formazione della proprietà contadina, sia nel caso di vendita a favore di privati, quando il soggetto interessato pone in essere tali cessioni per acquistare altri terreni con mutui agevolati e benefici tributari nonché con il controllo dell’Ispettorato provinciale agrario, allo scopo di accorparli ad unità poderali più ampie.
Quanto, infine, alla prova della mancata alienazione nel biennio di fondi è stata ritenuta sufficiente la certificazione notarile, addotta dal coltivatore, sulle visure ipotecarie limitata peraltro alla conservatoria dei registri immobiliari nell’ambito territoriale della residenza dell’affittuario.

Avvocato Chiara Roncarolo

Avvocato Maurizio Randazzo

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