I frutti durante il periodo della ritenzione del fondo

Un problema importante e di notevoli implicazioni pratiche concerne i diritti e gli obblighi dell’affittuario durante il periodo della ritenzione del fondo. Si domanda se l’affittuario possa far propri i frutti pagando unicamente il canone o dovrà integralmente restituirli al proprietario, salvo il rimborso delle spese sostenute per la produzione e il raccolto.

Si noti che il problema è totalmente diverso da quello relativo alla possibilità, per il ritentore, di fare propri i frutti imputandoli al suo credito, problema per il qual vi è uniformità di opinioni nel senso di una rigorosa esclusione di tale potere.

Nel caso di specie, i dubbi riguardano una situazione ben diversa: nelle more del giudizio e col permanere sul fondo dell’affittuario, che si avvale della ritenzione, il fondo continuerà ad essere coltivato, produrrà i suoi frutti. Tali frutti competeranno al ritentore o al proprietario e quale sarà il loro eventuale corrispettivo?

Le possibili alternative, senza pretesa di dare una soluzione definitiva al problema sono le seguente.

Considerando la situazione del ritentore, è pacifico che, quando si avvale di questo diritto di ritenzione, egli non ha alcun diritto alla permanenza sul fondo in qualità di affittuario: la ritenzione, infatti, presuppone necessariamente l’avvenuta risoluzione o cessazione del contratto di affitto. Di conseguenza, poiché il diritto di ritenzione è soltanto una forma di garanzia concessa all’affittuario per il pagamento delle migliorie effettuate, è, insomma, una autotutela, sostanzialmente ed unicamente, passiva, che non gli permette di usare la cosa trattenuta, né di agire esecutivamente sulla stessa, ma che anzi lo obbliga a custodire la cosa con la diligenza di un buon padre di famiglia, si dovrebbe concludere che, se egli continua a coltivare il fondo, i frutti prodotti non possono essere suoi per alcun titolo, ma unicamente del proprietario.

La conclusione necessaria di questo discorso è che il ritentore potrà unicamente giovarsi dell’articolo 821 comma 2 c.c., per il quale “chi fa propri i frutti deve, nei limiti del loro valore, rimborsare colui che abbia fatto spese per la produzione e il raccolto”.

Peraltro, parte dottrina manifesta delle perplessità in merito alla predetta teoria: se il ritentore, a queste condizioni, non vorrà coltivare il fondo, sarà nel suo diritto o per qualche titolo responsabile?

Di fatto, tale prospettiva può apparire poco verosimile od addirittura assurda, ma essa, secondo la predetta dottrina, appare coerente con le argomentazione precedenti. Si dice in dottrina (6) che il ritentore è obbligato a custodire la cosa con la diligenza di un buon padre di famiglia, dovendo rispondere se per sua colpa o dolo essa sia rimasta danneggiata o distrutta.

E’ certo che un fondo non coltivato per un periodo di tempo anche breve subisce danni estremamente gravi e richiederà spese ingenti per la ripresa della coltivazione stessa.

Tali considerazioni, senz’altro valide, non sembrano decisive: fondarsi su di esse per sostenere che la natura particolare della cosa custodita pone a carico del ritentore l’obbligo della coltivazione del fondo, significa allargare l’ambito degli obblighi del custode in modo estremamente ampio e non conforme ai principi giuridici della custodia stessa.

La giurisprudenza è estremamente scarna sull’argomento; solo una sentenza del Tribunale di Cagliari (7), può essere utilizzata, per analogia, per controbattere la tesi finora sviluppata, la quale attribuisce i frutti del fondo al proprietario. Nella sentenza è detto testualmente: “Il possessore di buona fede, titolare del diritto di ritenzione ex art. 1152 c.c., non essendo tenuto al rilascio del fondo sino a che non gli siano corrisposte le indennità per le addizioni (art. 936 comma 2 c.c.), non deve rispondere verso l’attore rivendicante dei frutti percepiti e percipiendi ex art. 1148 c.c.2.”

Sembra che possano ritrarsi maggiori elementi per controbattere la tesi esposta facendo riferimento al disposto dell’articolo 1591 c.c., il quale afferma che il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno. La situazione del conduttore in mora è evidentemente comune a quella del ritentore: la permanenza sull’immobile.

Ebbene, se il corrispettivo di base, al quale il conduttore moroso è tenuto, è il canone, salvo il risarcimento del maggior danno, non è forse ipotizzabile un simile corrispettivo per il ritentore, la cui permanenza sul fondo è fondata sul diritto e non certamente dolosa o colposa? L’accostamento pare ardito, ma non impossibile.

Avvocato Chiara Roncarolo

Avvocato Maurizio Randazzo

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