La famiglia coltivatrice

La famiglia coltivatrice, istituto oggi preso in considerazione, oltre che in altre norme del settore agrario è trattato anche nella legge agraria, la quale disponendo in tema di prelazione ne riconosce l’esistenza.

Le norme sui contratti agrari statuiscono, infatti, che in presenza di impresa familiare coltivatrice, il rapporto di affitto ed ogni altro rapporto agrario “intercorrono tra concedente e famiglia coltivatrice, la quale è rappresentata nei confronti del concedente, se questi lo richiede, da uno dei suoi familiari” (rif. Articolo. 48 della legge 3 maggio 1982, n. 203).

Occorre precisare come, in precedenza, la Corte di Cassazione, con un orientamento consolidato, ritenesse che il diritto di prelazione spettasse solo al coltivatore diretto titolare del contratto di affitto, e non ai familiari che collaboravano con lui (rif. Cass. 12 marzo 1983, n. 1875). La giurisprudenza ha, peraltro, ribadito questo principio, affermando che la nuova norma, l’articolo. 48, non trova applicazione per i rapporti di affitto già in corso al momento della sua entrata in vigore (rif. Cass. 16 maggio 2003, n. 7641; Cass. 22 giugno 2001, n. 8598).

Stante quanto sopra, sembra di poter concludere che, dopo l’entrata in vigore della legge 3 maggio 1982, n. 203, la famiglia coltivatrice abbia ottenuto il suo riconoscimento: il diritto di prelazione dell’affittuario viene, oggi, riconosciuto alla famiglia coltivatrice e non solo al capofamiglia che risulta formalmente come titolare del contratto di affitto.

Tuttavia, spiace dover constatare come il predetto riconoscimento risulti incerto quando si faccia riferimento all’ambito e ai limiti entro i quali potrà operare, infatti, non è chiaro se il diritto di prelazione spetti alla famiglia coltivatrice nel suo insieme, oppure a ciascuno dei soggetti che partecipano alla coltivazione del fondo quali membri della famiglia coltivatrice.

Peraltro, pare opportuno sottolineare che sono considerati membri della famiglia coltivatrice i familiari che prestano il loro lavoro nella normale conduzione del fondo, quando l’attività agricola è esercitata dai familiari in comune ed in modo continuativo (rif. Cass. 4 febbraio 1993, n. 1382; Cass. 13 dicembre 1986, n. 7468) e questo anche se il o i familiari siano anche in parte dediti ad altre attività (rif. Cass. 2 agosto 1995, n. 8444).

Peraltro, i dubbi aumentano quando si considera che mentre, spesso, in passato, la dottrina e la giurisprudenza hanno assimilato la famiglia coltivatrice alla società semplice. Oggi, invece, ritengono più opportuno accostare l’istituto in esame all’impresa familiare, individuata all’articolo 230-bis del codice civile.

La questione si complica ulteriormente nel momento in cui si constata come il presunto riconoscimento e l’esistenza stessa della famiglia coltivatrice sembrano aver avuto un limitato impatto nell’ordinamento giuridico: pur essendo passati più di trent’anni dall’entrata in vigore della legge sui contratti agrari, non vi sono sentenze della Corte di Cassazione che abbiano espressamente riconosciuto il diritto di prelazione, né alla famiglia coltivatrice né ai suoi membri.

Ulteriore conferma della scarsa considerazione che la famiglia coltivatrice ha avuto dal legislatore si può ricavare dalla copiosa giurisprudenza, che, in tema di diritto di prelazione del confinante, ha esplicitamente escluso che il diritto di prelazione si possa estendere ai membri, non comproprietari, della famiglia coltivatrice. Ciò in quanto, in questo caso, il diritto prescinderebbe dall’esistenza di un contratto agrario, con l’evidente corollario che non troverà applicazione l’articolo 48 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (rif. Cass. 26 marzo 1999, n. 2896; Cass. 26 marzo 1990, n. 2424; Cass. 2 maggio 1990, n. 3622; Cass. 25 giugno 1988, n. 4299; Cass. 23 febbraio 1988, n. 1911; Cass. 13 dicembre 1986, n. 7474; Cass. 12 marzo 1983, n. 1875; Cass. 26 agosto 1982, n. 4718; Cass. 15 gennaio 1981, n. 354).

Avvocato Chiara Roncarolo

Avvocato Maurizio Randazzo

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