Riordinamento della proprietà rurale: brevi cenni
L’obiettivo di favorire lo sviluppo rurale ed una più razionale gestione del compendio agricolo nazionale, deve – necessariamente –essere valutato da un lato fissando una misura massima e una minima, così da garantire la ricostituzione di unità produttive razionali, e dall’altro avendo cura della produttività dei fondi. A ben vedere, l’obiettivo principale in materia di riordinamento verte maggiormente ascrivibile sull’aspetto economico dell’organizzazione del tessuto produttivo stesso; che non può prescindere da una specifica normativa di supporto.
Per questo, fin dall’emanazione del nostro Codice Civile nel 1942 il Legislatore perseguì l’obiettivo di riordinare la proprietà rurale sull’intero territorio nazionale attraverso gli articoli. 846 e ss. c.c., sancendo che “Nei trasferimenti di proprietà, nelle divisioni e nelle assegnazioni a qualunque titolo, aventi per oggetto terreni destinati a coltura o suscettibili di coltura, e nella costituzione o nei trasferimenti di diritti reali sui terreni stessi non deve farsi luogo a frazionamenti che non rispettino la minima unità colturale” (art. 846, co. 1, c.c.) e prevedendo che, inoltre, che “Gli atti compiuti contro il divieto dell’articolo 846 possono essere annullati dall’autorità giudiziaria, su istanza del pubblico ministero. L’azione si prescrive in tre anni dalla data della trascrizione dell’atto” (art. 848 c.c.).
Il Legislatore, tuttavia, lungi dal definire quale debba essere l’estensione dell’ “unità minima colturale … necessaria e sufficiente per il lavoro di una famiglia agricola e…… per esercitare una conveniente coltivazione secondo le regole della buona tecnica agraria” (art. 846, co. 2, c.c.), si limitò a prevedere – al successivo articolo 847 c.c. – che l’estensione doveva essere “determinata distintamente per zone, avuto riguardo all’ordinamento produttivo e alla situazione demografica locale, con provvedimento dell’autorità amministrativa, da adottarsi sentite le associazioni professionali”.
Tale previsione, però, rimase lettera morta in quanto l’autorità amministrativa da un lato non si attivò mai per fissare detta unità minima e dall’altro le associazioni professionali, cui fa riferimento la norma, vennero soppresse pochi anni dopo con D.Lgs.Lgt. del 23 novembre 1944 n. 369.
Ciò che non si spense, tuttavia, fu la volontà del Legislatore di favorire la razionalizzazione fondiaria, nonché la modernizzazione e la semplificazione del settore agricolo, tanto che nel 2001 venne emanato il D.lgs. 228/2010 (c.d. Legge di Orientamento) che estese l’ambito di possibilità produttive riconosciute in capo all’impresa agricola (produzione, vendita diretta, tutela dell’ambiente, agriturismo ecc.) e che apportò modificazioni alla legge agraria favorendo ulteriormente la gestione razionale del territorio mediante l’estensione e la miglior regolamentazione del diritto di prelazione sia in caso di vendita che di nuovo affitto di un fondo.
Sempre in tema di miglioramento e contestuale conservazione dell’integrità fondiaria una misura simile alla originaria “unità minima colturale” fu introdotta con il D.lgs. 99/2004, il cui articolo 7 sancì l’introduzione del c.d. compendio unico, qualificandolo come “l’estensione di terreno necessaria al raggiungimento del livello minimo di redditività determinato dai piani regionali di sviluppo rurale per l’erogazione del sostegno agli investimenti previsti dai Regolamenti (CE) nn. 1257 e 1260/1999, e successive modificazioni”.
A differenza della regolamentazione inserita nel codice civile del 1942, che venne abrogata con il predetto D.lgs. 99/2004, con l’introduzione del “compendio unico” (art.7) la finalità di impedire l’eccessivo frazionamento dei fondi in agricoltura venne perseguito dando rilievo all’aspetto produttivo dell’azienda agricola, ossia stabilendo condizioni per il conseguimento di agevolazioni fiscali allo scopo di garantire un minimo di redditività e non più, pertanto, ponendo come parametro di riferimento le necessità della famiglia coltivatrice diretta ovvero quella della conveniente coltivazione secondo le regole della buona tecnica agraria (cfr. Cass. civ. Sez. II, 08 luglio 2014, n. 15562).
A partire dalle previsioni inserite nel codice civile del 1942 e dalla riforma agraria del 1950, pertanto, la ristrutturazione del sistema agricolo fu dapprima incentrata sullo smantellamento dei latifondi – spesso oggetto di mala coltivazione e di degrado dei terreni proprio a causa della eccessiva estensione – e sulla conseguente regolamentazione delle estensioni minime e massime del compendio agricolo.
Successivamente, con il graduale sviluppo delle tecniche agricole di coltivazione, la regolamentazione ed agevolazione del riordinamento della proprietà rurale, anche per superare il concetto della “minima unità colturale”, venne maggiormente incentrata sulla produttività, come dimostrato dalla costituzione del c.d. compendio unico, basato proprio sulla produttività del fondo.
Avvocato Chiara Roncarolo
Avvocato Maurizio Randazzo
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